Dicembre è il dodicesimo mese dell’anno e, nella riduzione numerologica a base 11, corrisponde al numero 3. Il 12 però ha anche un valore simbolico tutto suo: nella Bibbia, 12 sono le tribù di Israele e il numero rappresenta metaforicamente l’intera umanità; 12 sono i segni zodiacali che rappresentano la totalità delle dinamiche interne di un individuo; secondo gli insegnamenti del Maestro Asceso Saint Germain, 12 sono tutte le vibrazioni possibili nel Creato, personificate dai 12 apostoli che, insieme al Cristo, creano il 13, l’unità prodotta dalla riunificazione delle vibrazioni dettagliate nella Creazione. Il 12, insomma, può essere considerato un archetipo solare e spirituale: rappresenta le energie da integrare per raggiungere il livello di consapevolezza dell’unità. Il 12, quindi, può essere considerato l’ottava alta del 3: il movimento nello spazio del 3 arriva a toccarne ed esplorarne i confini, potendo ora osservare tutto ciò che c’è per portarlo ad unità. Il cammino di ricerca e scoperta sembra giunto al suo apice, dove finisce l’ignoto e inizia il processo di integrazione. E’ un numero talmente mistico da sembrare irraggiungibile, quanto può sembrare irraggiungibile conoscere tutto di noi ed integrare, accettandoli, tutti i nostri aspetti. Può dirsi quasi il punto di vista di Dio, che conosce tutto quello che c’è e ne contempla la perfezione, al di là del giudizio sugli opposti che la nostra mente duale si ostina a produrre, al di là del disgusto e della frustazione, al di là della colpa e della punizione. Questo osservare onnicomprensivo ci porta oltre, un oltre che può però essere vissuto nel qui e ora, nel luogo in cui ci troviamo: è un cambiamento di prospettiva, una diversa attribuzione di valore: il valore non risiede più in ciò che mi piace, ma nel poter osservare la meraviglia di ciò che esiste; è la facoltà stessa insista nell’essere umano di poter “comprendere” ed ammirare nell’estasi della contemplazione. Ovviamente, non è uno stato semplice da raggiungere, ma potremmo imparare ad acquisire questo nuovo “abito” mentale osservando i giudizi che continuamente affollano la nostra mente e, prima di aderirvi, valutare se non sia il caso di riformularli se mancano di consapevolezza dell’unità e perfezione del tutto, se mancano di compassione e se non sono mossi da quella spinta all’integrazione che ci aiuta a renderci sempre più consapevoli di ciò che siamo. L’abitudine a sospendere il giudizio per valutarlo - monito di origine stoica - è la pratica filosofica forse più importante, che ci consente di stanare i pensieri che ci allontanano dalla felicità e dalla saggezza, e che ci aiuta ad allinearci sempre di più al nostro logos interno.