#7: L’Amore e la Mancanza

Ognuno di noi ha sperimentato nella sua vita il senso della “mancanza” riferito all’amore, come mancanza di qualcosa o qualcuno.

E spesso ci viene consigliato, da più parti, di cercare di superare questa mancanza e andare avanti.

Ecco, Platone non ci avrebbe dato questo consiglio perché, nel suo celebre dialogo “Il Simposio”, fa raccontare a Socrate la nascita di Amore e, da questa nascita, si evince la sua natura, che è fatta proprio di “mancanza”: Amore ama e desidera ciò che non ha nel momento presente o, pur avendolo ora, vorrebbe tenerlo per sé anche nel futuro.

Vi riporto direttamente questa parte del dialogo, poiché le parole di Platone sono di una poesia ed altezza tali che mi sembrerebbe farvi un torto nel non riproporvele.

Vi faccio solo notare che Socrate, nel dialogo, attribuisce alla sacerdotessa Diotima di Mantinea il racconto che state per leggere: non è di poca importanza, per un uomo greco di quel periodo, dichiarare di aver appreso nozioni filosofiche da una donna; Socrate sostiene anche di essere stato istruito da Diotima sull’Amore proprio attraverso il metodo delle domande e risposte, ossia attraverso quel cosiddetto “dialogo socratico” che qui, Platone, vuole far originare da una sacerdotessa!

Ma andiamo a leggere!

Platone, Simposio, 203b-204b:

“Quando venne al mondo Afrodite gli dèi si radunarono a banchetto e fra gli altri vi era anche Poros (l’Espediente), figlio di Metis (la Saggezza). Dopo che ebbero banchettato, siccome c'era stato un grande pranzo, venne Penia (la Povertà) a mendicare e se ne stava sulla porta. Poros, ebbro di nettare - il vino non c'era ancora - se ne andò nel giardino di Zeus, e appesantito dal cibo, si addormentò. Penia dunque, tramando per la sua indigenza di concepire un figlio da Poros, si stese accanto a lui e rimase incinta di Amore. Anche per questo è seguace e servitore di Afrodite essendo stato concepito nel genetliaco di essa e poiché per natura è amante del bello, e Afrodite è bella, Amore dunque perché è figlio di Poros e di Penia è stato posto in tale sorte. Per prima cosa è sempre povero, e manca molto che sia delicato e bello, quale molti lo reputano: è duro, sudicio, scalzo, senza casa, sempre nudo per terra, e dorme sotto il cielo presso le porte o per le strade, e poiché ha la natura della madre si trova a convivere sempre con l'indigenza. Secondo l'indole del padre invece sempre insidia chi è bello e chi è buono; è coraggioso, protervo, caparbio, cacciatore terribile, sempre dietro a macchinare qualche insidia, desideroso di capire, scaltro, inteso a speculare tutta la vita, imbroglione terribile, maliardo e sofista. Per natura non è immortale né mortale e talora nello stesso giorno fiorisce e vive, quando prospera, ma talvolta muore e resuscita ancora, proprio per la natura del padre; e quel che accumula sempre si dilegua, tanto che Amore non si trova mai né in povertà né in ricchezza, e si trova sempre in mezzo a sapienza e ignoranza”.

Essendo tantissimi gli spunti che Platone ci fornisce attraverso la narrazione del “mito di Eros”, torneremo a parlarne anche nel prossimo post.

A te cosa insegna questa storia? Come consideri Amore?